PARANORMALE, SPIRITISMO, CACCIA AI FANTASMI. Riflessioni e un’introduzione

Immaginiamo spesso la Morte, più di quanto non vogliamo farlo. 

Quello che respingiamo nell’inconscio, riemerge, inevitabilmente.

Tutti vediamo fantasmi, ma non nel modo in cui solitamente si crede. Un fantasma può essere tante cose: un ricordo, un sogno a occhi aperti, un segreto, lutto, rabbia, senso di colpa. Ma, spesso i fantasmi rappresentano essenzialmente ciò che vorremmo vedere. E quando ci chiediamo perché  certe visioni sono orribili, raccapriccianti, orrifiche, ebbene, siamo certi che ciò che vediamo sia meglio perderlo per sempre, non vederlo mai più?

Una storia di fantasmi è una storia che evoca il passato, confonde il presente e condiziona il futuro. Ma una storia di fantasmi è sempre una storia di esseri umani, di corpi e di emozioni, di sentimenti e viaggi, di scoperte e di ricordi. 

La memoria è quella condizione che obbliga a guardarli in faccia, ed è per questo che non li lascia nella nebbia ma  trasporta in una dimensione di incanto e magia, dove il sogno non svanisce. I fantasmi avanzano, le persone svaniscono.

Veniamo tutti al mondo con una dose di magia in corpo. Non la magia che ti fa camminare sulle acque, ma la magia che ci permette di essere eccezionali, speciali. 

Ora, se si rifiuti quella magia, se se ne soffoca la crescita, diventa marcia, o incancrenisce dentro di sé, come un serpente, finché l’io profondo non diventa che una specie di mostro. 

Un diavolo, se volete.

La nostra realtà è misteriosa, stadi e dimensioni differenti ci circondano.

La ricerca, l’indagine sul paranormale, la ricerca esoterica significano il desiderio di ricevere spiegazione e nulla vieta di ritenere il mistero di oggi una scoperta di domani.

Il concetto di pseudo-scienza, inteso secondo equilibrio ed onestà intellettuale, fa sovvenire quella riflessione di Albert Einstein che recita: “la realtà è una semplice illusione, sebbene molto persistente”.

Occorre confidare sulle potenzialità del cervello umano nel  paranormale, nel sovrannaturale. Personalmente, trovo maggiormente corretto e coerente parlare di “preternaturale” in luogo di “sovrannaturale”, cioè di qualcosa che al momento risulta privo di spiegazioni convincenti ma che non è escluso possa essere spiegato in futuro, col progredire delle evidenze scientifiche.

Vi dirò, la mia realtà,  – così come l’immaginazione o i sogni –  è persistentemente accompagnata alla parola, vieppiù alla scrittura, per non cedere all’illusorietà esistenziale. L’esoterismo, lo spiritismo, la metapsichica si nutrono di concetti, di parole, per rendersi visibili, descrivibili, analizzabili, spiegabili. Perciò, da collezionista ossessivo compulsivo della parola, da accanito complulsatore di lemmi, umile mendicante davanti ai cancelli del Logos, ho trovato spesso creativo, didattico, importante ai fini della conoscenza interagire con il sovrannaturale. Immaginate dunque la mia sorpresa quando qualche anno fa ho scoperto che il paranormale era diventato argomento preferenziale del web, con esperienze filmate, registrate, proposte da singoli appassionati e da gruppi di c.d. indagatori dell’occulto. È pur vero che ho incontrato non poche delusioni – e una certa preoccupazione – quando ho capito che gran parte dei prodotti multimediali erano ispirati all’esibizionismo dei protagonisti, alla spettacolarizzazione dei fenomeni, alla esasperante presenza di presunti riscontri che volentieri sfociavano nella millanteria. Fortunatamente, la delusione si è lenita, il disappunto si è sopito, quando ho incontrato il GHT, il gruppo che oggi mi concede questo spazio. Sono dei ricercatori cbe si prendono la briga, si assumono l’onere di analizzare i contenuti del web, invitarndo alla sana diffidenza, alla puntuale analisi, allo smascheramento, alla riflessione, conditi di immancabile, l’anticamera dell’intelligenza, ovvero l’elemento che induce levità e spensieratezza, senza drammatizzazione o seriosità di sorta, consentendo un proficuo scambio emozionale. 

 Riguatdo all’esoterismo rimango comunque prima di tutto un appassionato studioso. Questo mi fa apprezzare grandemente chi ha qualcosa da raccontare, chi sa esprimersi, chi riesce a descrivere la propria anima, narrare storie, commentare eventi, teorizzare, spiegare, insegnare attraverso “la parola”: in questo pur virtuale ambiente social è una preziosa rarità.

Qualche volta provo anch’io a compilare qualche frase. Lo ammetto: mi fa piacere se riesco ad attirare un po’ d’attenzione, quando mi vengono riconosciuti capacità e ingegno. 

È che riesco a spiegare meglio chi sono, cosa penso, come vedo il mondo, come interpreto l’esistenza, con la scrittura. 

Trovo altresì la scrittura una attività piacevole, un esercizio creativo, con una efficace  funzione terapeutica. Ho però una severa autodisciplina e una stringente consapevolezza: la parola è per chi ha davvero qualcosa da dire.

Permane in me la sgradevole sensazione – oggi prossima alla incrollabile convinzione –  che nella maggior parte del pubblico – la c.d. utenza di ‘youtube’ e dei social media in generale -, oltre a gravi carenze endemiche (sociali, di istruzione, tout-court culturali…), manchino la duttilità dei processi cognitivi e di comprensione del linguaggio, latitino la volontà di apprendere senza l’ausilio fuorviante e uniformante della cultura di massa, srmbra che non procedano se non intossicandosi di mainstream catodico e aggrappandosi all’immaginario collettivo romanzesco, cinematografico, pubblicitario.

Capire un argomento, confrontarsi con un testo, con un resoconto per immagini, (quindi, scrittura, drammatizzazione, narrazione…) coglierne il messaggio sotteso, non significa trovare il significato di un frammento, il senso del dettaglio che più è meglio si addice al proprio grado di cultura e s’attaglia ai gusti personali, e successivamente legandolo a quello del frammento successivo, per finire con l’illudersi di aver implementato la completezza, la pienezza del messaggio. 

Ho l’impressione che un utente medio del ghost hunting capisca un video, un podcast, un audio, a livello superficiale e non afferri il senso di ciò che vede, che ascolta, che riceve.

La comprensione è un processo attivo e costruttivo, costitutivo e di sviluppo, finalizzato a cogliere il significato ed il significante, dove per significato si intende una complessiva rappresentazione mentale coerente del contenuto dell’argomento e per significante ciò che è destinato a produrre influenze e conseguenze importantii, rilevanti.

La costruzione della rappresentazione mentale deriva dall’integrazione delle informazioni linguistiche e concettuali contenute unitamente alle conoscenze pre-esistenti. Il meccanismo che si innesca per costruire tale rappresentazione prevede l’attivazione delle informazioni rilevanti e la soppressione di quelle irrilevanti.

La condizione di disinformazione, quindi di minorità, di creduloneria, di alienazione dagli interessi reali, di scadimento dell’identità unitaria dello spettatore, del pubblico – della fatidica “utenza” – dei gruppi di pseudo-ricerca, dei millantatori, dei truffatori, si approvvigiona, si aggroviglia e si dipana nella manipolazione degli individui: essi tendono così alla spersonalizzazione e li si può condurre dove di vuole; ad interessarsi di idee elementari e infondate quando non dichiaratamente mendaci, come a convincerli delle più balzane e risibili teorie. L’utenza è perlopiù  passiva, accetta collettivamente la sottomissione (a concetti, a distorsione dei fatti, a bugie) senza soluzione di continuità e senza l’anelito a contrastare, a ribellarsi. 

Quando si tratta di temi così sensibili (la vita, il dolore, la morte, la mancanza, il lutto) è una vera e propria perdita dell’Io per chi non detiene gli strumenti adeguati (personali, psicologici, culturali, razionali) per confrontarvisi; un certo tipo di spettatore diviene inerte, impotente e manipolabile. L’autonomia individuale in una società di massa è minacciata dall’omologazione, dal conformismo, dall’uniformità, altresì dalla distorsione mediatica. Coloro che si informano poco e con strumenti inadeguati sono la parte più vulnerabile. I loro danni (culturali, psichici, sociali) influenzano i familiari e la rete di legami e di rapporti a cui sono interconnessi.

I gruppi di ricerca “paranormale”, mistificatori o truffaldini, fanno leva proprio sull’apatia mentale (indotta?) dell’utenza. Magari, per alcuni,  è l’ipersensibilità, l’emotività patologica, la labilità psicologica, sinergica alla scarsa curiosità, al mancato approfondimento, alla carente preparazione ed alla vulnerabilità cerebrale che aprire le porte al disagio.

Certo, bisogna tutelare la sfera degli interessi (tutti gli interessi, direi) ovvero ciò che ci rende vivi, attivi, umani e ci rende capaci di ribellarci.

Nessuna censura è accettabile, ma nel campo delle pseudo scienze è necessario, obbligatorio, vitale perfino, predisporre un confortevole habitat intellettuale  di condivisione, di informazioni sane (se così si può dire); uno spazio salubre in cui si resta umani, vigili, divertiti; poiché il vero virus è l’ignoranza.

A questo punto del discorso, è bene che io mi congeda dal pazoente lettore; lo farò con una indicazione filmografica, una sorta di breve recensione su un pregevole prodotto documentaristico che ho scoperto e visionato su di una piattaforma catodico-digitale.

Si tratta del documentario “Unknown: Cave of Bones. La grotta della scoperta”, reperibile su Netflix.

L’interesse per il sovrannaturale è stato presente in ogni epoca, è una prerogativa umana, ancor prima dell’avvento dei Sapiens (vedi le sepolture rituali dei Neanderthal).

Oggi abbiamo un retroterra culturale e tecnologico  a disposizione, tali da poter trovare rispettivamente siti di interesse primario per le pseudo-scienze e catturare e/o dimostrare eventi fisici inspiegabili – e chissà cosa il futuro tiene in serbo per la ricerca e come verrà attuata la “caccia ai fantasmi”: credo che la fisica e le neuroscienze arriveranno a dimostrare la sopravvivenza della coscienza, in forme tangibili e replicabili. 

Ma non voglio divagare, perciò tornando al nostro film, esso tratta di sepolture rituali primitive e conferma – se ancora ve ne fosse necessità – il senso di spiritualità che ha pervaso l’essere umano di ogni epoca ad ogni latitudine. Si evoca il perenne, incombente senso della morte che tutti ci attanaglia, della ricerca di significato della vita e della sua cessazione, di quanto la fine dell’esistenza  travalichi  ambiente, cultura, consuetudini e tradizioni sussistendo nel trapasssto remoto, nel presente e nel futuro dell’umanità. 

L’invito a guardare questi meraviglioso documentario, diretto da Mark Mannucci, prodotto e trasmesso da Netflix, assume perciò un senso più profondo del semplice intrattenimento. All’interno della collezione “Unknown”, “La grotta della scoperta”; il mostra come alcuni scienziati analizzino reperti di 250mila anni fa – non so se mi spiego, 250 millenni! 

Le evidenze archeologiche sono state rinvenute nelle profondità del territorio del Sud-Africa, a ben 45 metri di profondità nel sistema di grotte Rising Star Cave. Al di là dell’inaccessibilità e della pericolosità insita nel raggiungimento del sito – se è stato estremamente pericoloso il tragitto per dei moderni archeo-speleologi, figurarsi quali rischi ha comportato per degli ominidi – i ritrovamenti fanno sorgere degli inevitabili interrogativi su questi progenitori della razza umana (l’Homo naledi) e su cosa significhino le “domande ultime” che ancor oggi tutti ci poniamo circa la nascita, l’esistenza, la permanenza in questo piano di esistenza, la morte.

“La possibilità che l’Homo naledi collocasse i defunti nelle grotte è di grande significato per paleoantropologi e archeologi. Una tale intenzionale pratica funeraria presupporrebbe un livello di complessità culturale finora ritenuto unico della nostra specie”, sostiene il regista;  “La nostra reazione alla morte, il nostro amore per altri individui, i nostri legami sociali: questi aspetti dipendono dalla nostra natura umana?”

Un pensiero logico, un’intuizione e la connessione con la Sorgente, lo Spirito e le leggi naturali aiutano a determinare cosa è vero e cosa no.

Trattando della spiritualita‌ funeraria si sfiora il concetto di aldilà, un’idea che si riteneva piu‌ lontana che mai dall’uomo primitivo e che, grazie a questi sensazionale ritrovamento, rivela che invece sia riuscito ad elaborare ed esplorare, formalizzare e comporre, sia idealmente che ritualisticamente. Quello degli “homini nalediensi” è l’approccio con la morte più antico fin qui portato alla luce dalla paleoarcheologia e, dalla posizione del ritrovamento, l’impraticabilità del percorso, l’impervia raggiungibilità del sito sepolcrale, la modalità di tumulazione, il numero di corpi interrati, la disposizione, i graffiti che adornano la grotta e la loro simbologia, tutto suggerisce una liturgia non solo di “passaggio”, fors’anche una ritualità con le peculiarità proprie dell’iniziazione. In primo luogo, sorprende la remotissima datazione del ritrovamento, non meno stupefacente è il livello di coinvolgimento rispetto alla morte, al concetto di distacco, alla preservazione dei corpo, quindi della memoria (dei defunti). Di questi ominidi, che fino a qualche tempo fa la paleontologia avrebbe ritenuto incapaci di sentimenti, pensieri, interazioni, così complesse, sorprende la dimensione comunitaria espressa dell’elemento sepolcrale. È qui che rimarchevolmente si incontra l’anelito ad esistere, il desiderio di permanenza, la continuita‌, la conservazione del corpo a tutela e protezione dello spirito e, perchè no, l’idea di una trasmigrazione dell’essenza vitale (presso altre dimensioni[?]). 

Tali inquietudini è noto che siano state rilevate dal Paleolitico (per quanto ne sappiamo), ma non in un periodo – lasciatemi passare il termine -, antidiluviano. Nessuno mai avrebbe potuto sospettare, prevedere che si sarebbero manifestate appieno con tutta la forza. Il rapporto vita-morte dell’homo naledi è una circostanza che rimette in discussione gran parte degli studi e delle acclarate convinzioni della paleoantropologia; è una presenza significativa che delinea un quadro perfettamente discordante con le caratteristiche dell’epoca, ma che apre uno squarcio ragguardevole sulla consapevolezza, sulla piena coscienza della finitezza del vivere, l’ineludibilità della morte e sul senso della (possibile, agognata, sognata) sussistenza post-mortem come sostanza, in termini comunitari e ideali, individuali e spirituali.

Astolfo di Fuscaldo (pseudonimo?)

Calabrese di nascita, ha scelto come luogo d'elezione professionale l'Irpinia, provincia campana. Architetto, interior designer, è stato correttore di bozze come attività voluttuaria, presso una casa editrice indipendente d'area, specializzata in testi storico-politici d'area. Bliofilo, collezionista particolarmente appassionato dii testi sull'esoterismo, il sovrannaturale, la meta-psichica, da ultimo ma non meno importante, la clipeologia è i resoconti sugli UAP.

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